Svolgimento del processo
L:R., già dipendente della S. spa (qui di seguito per brevità, indicata anche come S. impugnò sei sanzioni disciplinari conservative in alcuni casi accompagnate da richieste risarcitorie per danni, irrogategli dalla ex datrice di lavoro.
Il Giudice adito dichiarò l’illegittimità di quattro fra le sanzioni impugnate, condannando la parte datoriale alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto al lavoratore.
La Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 14 – 29.1.2010, accogliendo per quanto di ragione il gravame proposto dalla S., riconobbe la legittimità di due dei suddetti provvedimenti disciplinari, riducendo conseguentemente l’importo complessivo da restituire al lavoratore.
Per quanto ancora qui specificamente rileva (e dunque con riferimento al provvedimento disciplinare di un giorno di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per fatto avvenuto il 30.1 2006), la Corte territoriale ritenne quanto segue:
– doveva riconoscersi il rispetto del termine fissato dal CCNL per l’irrogazione della sanzione, posto che, sulla base della documentazione dimessa dalla parte datoriale, era risultato che il lavoratore aveva ritirato la raccomandata contenente la contestazione il 17.2.2006, che la lettera di giustificazione,
– consegnata a mano, era datata 20.2.2006 e che la sanzione era stata applicata con raccomandata con ricevuta di ritorno inviata il 10.3.2006 e, quindi, entro il termine di 20 giorni,
– risultava indirettamente la prova della negligente condotta di guida del lavoratore, poiché il mezzo del datore di lavoro era uscito dalla sede stradale in un tratto di strada rettilineo, mentre procedeva a velocità rientrante nei limiti massimi consentiti e senza che il conducente avesse provato che tale fuoriuscita dalla sede stradale fosse dipesa da un evento perturbatore estraneo che avesse reso inevitabile siffatta manovra, cosicché l’uscita di strada, che aveva determinato il ribaltamento del veicolo, non poteva che essere ricondotta ad un’imperita o distratta condotta di guida, diversamente non potendo che dedursi la volontarietà dell’evento;
– la contestazione sull’entità dei danni indicati nelle fatture era stata tardiva, non essendo stata effettuata in primo grado, ove era stata invece lamentato soltanto che la loro comunicazione era avvenuta a distanza di sette mesi dall’emissione delle fatture.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, L.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di legge e di contratto collettivo (artt. 32 CCNL e 1335 c.c.), nonché vizio di motivazione, deducendo che:
– erroneamente la Corte territoriale aveva preso in considerazione la data in cui esso ricorrente aveva ritirato presso l’ufficio postale la lettera di contestazione (17.2.2006), anziché quella del 13.2.2006, giorno in cui tale lettera era pervenuta al suo indirizzo, cosicché il termine di 5 giorni per proporre le giustificazioni decorreva dalla suddetta precedente data;
– ancora erroneamente la Corte territoriale aveva individuato nel 10.3.2006 la data di spedizione della sanzione, basandosi su quanto risultante nella cartolina di ricevimento e dovendosi invece ritenere che tale cartolina fosse stata evidentemente compilata il giorno prima dell’accesso all’ufficio postale”, che risultava avvenuto, secondo quanto attestato dal dimesso estratto del sito internet della Poste spa, in data 11.3.2006;
– risultava quindi superato il termine massimo (5 giorni per le giustificazioni, più 20 giorni per la sanzione) indicato dall’art. 32 del CCNL.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di legge e di contratto collettivo (artt. 32 e 34 CCNL; artt. 1218, 2104, 2106 e 2697 c.c.), nonché vizio di motivazione assumendo che la Corte territoriale, pur condividendo la tesi secondo cui incombe sul datore di lavoro fornire la prova della colpa del lavoratore, aveva erroneamente ritenuto che tale prova fosse stata fornita limitandosi a descrivere l’evento dannoso ed individuando la colpa del lavoratore “in via dei tutto presuntiva e del tutto apodittica”, smentendo con ciò le premesse da cui era partita e ponendo su esso ricorrente la prova positiva dell’evento accidentale e fortuito; inoltre non era stato considerato che la lettera di contestazione non conteneva neppure l’affermazione dell’esistenza di una negligenza del lavoratore, ipotizzata invece soltanto nella comunicazione di applicazione della sanzione disciplinare.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di legge e di contratto collettivo (artt 32 e 34 CCNL, artt 2104, 2106 e 2697 c.c.), nonché vizio di motivazione, assumendo che la Corte territoriale aveva ritenuto la prova dell’ammontare dei danni basandosi soltanto sulle fatture dimesse dalla parte datoriale e ritenendo erroneamente che il danno non fosse stato contestato, laddove nelle conclusioni di primo grado era stata formulata domanda volta alla declaratoria dell’inesistenza dei danni richiesti.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della disposta compensazione delle spese per entrambi i gradi del giudizio di merito, deducendo che l’accoglimento dei precedenti motivi avrebbe dovuto comportare la cassazione della sentenza impugnata anche in ordine alla regolamentazione delle spese di lite
2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, come detto la violazione degli artt. 32 CCNL e 1335 c.c., per avere la Corte d’Appello affermato la validità, ossia la tempestività, della sanzione disciplinare, inflitta 11 marzo 2006, vale a dire dopo la scadenza del termine contrattuale di venti giorni, iniziato nella specie cinque giorni dopo la contestazione dell’addebito disciplinare (i cinque giorni costituiscono il termine per le difese dell’incolpato), avvenuta il 10 febbraio 2006.
In altre parole secondo la doglianza del ricorrente, la sanzione avrebbe dovuto essere inflitta al più tardi venticinque giorni dopo quest’ultima data.
2.1 La tesi non può essere accolta.
I giorni del termine a difesa sono stati calcolati dalla Corte d’Appello nel modo più favorevole al lavoratore ossia a partire dal giorno in cui egli ritirò la lettera di contestazione (17 febbraio 2006). Il 20 successivo egli forni le sue giustificazioni, che la datrice di lavoro, sempre in base al principio del favor rei, considerò tempestive e delle quali perciò tenne conto.
Da quella data la Corte d’Appello fece decorrere i venti giorni per l’irrogazione della sanzione che avvenne il 10 marzo 2006 (secondo il ricorrente, l’11 marzo), ossia in tempo.
2.2 Deve perciò affermarsi che, qualora il lavoratore incolpato per illecito disciplinare abbia presentato le proprie difese oltre il termine impostogli dalla legge o dal contratto, il successivo termine perentorio imposto al datore di lavoro per l’adozione del provvedimento disciplinare, decorre dal giorno di presentazione delle difese suddette.
Il motivo all’esame non può dunque essere accolto.
3.1 Quanto al secondo motivo, deve anzitutto rilevarsi l’inammissibilità del profilo di doglianza relativo all’asserita mancata indicazione della negligenza del lavoratore nella lettera di contestazione, dato che. in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non è stato ivi trascritto il contenuto della predetta comunicazione datoriale.
3.2 Quanto ai restanti profili di doglianza, deve rilevarsi che la Corte territoriale ha fondato il decisum sulla base di una prova presuntiva, traendo dalle emergenze probatorie acquisite la conseguenza che, nel concreto contesto fattuale in cui l’evento si era verificato, solo la negligenza o l’imperizia del conducente avrebbe potuto – al di fuori dell’ipotesi della volontarietà dell’atto – determinare la fuoriuscita del mezzo dalla sede stradale e il suo successivo ribaltamento. Correttamente inoltre la Corte territoriale, facendo applicazione del generale principio di ripartizione dell’onere probatorio, ha ritenuto che la circostanza fattuale dedotta dal debitore del verificarsi di un evento perturbatore estraneo, che aveva reso inevitabile la fuoriuscita del veicolo, come tale configurante una forza maggiore, avrebbe dovuto essere dimostrata dal soggetto che l’aveva invocata.
Non è quindi condivisibile l’assunto del ricorrente secondo cui la sua responsabilità sarebbe stata affermata senza che fosse stata fornita la prova della sua colpa, ma soltanto sulla base del nesso causale fra l’evento e la condotta del lavoratore.
3.3 Inoltre va considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità; infatti, è sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza e, a tal riguardo, l’apprezzamento del giudice di merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e circa la rispondenza di questi ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità o da errori nei criteri giuridici (cfr. ex plurimis, Cass., SU, n. 9961/1996; Cass., nn. 2700/1997; 26081/2005)
3.3 Ne discende quindi l’infondatezza anche del motivo all’esame.
4. Dalle stesse allegazioni contenute in ricorso risulta che, in prime cure, il lavoratore aveva svolto domanda diretta a negare l’esistenza dei danni e lamentato che gli stessi gli erano stati comunicati a distanza di alcuni mesi dall’emissione delle fatture, ma nient’ affatto che avesse anche svolto – dopo essere stato portato a conoscenza delle fatture – espressa e specifica contestazione in ordine all’entità dei danni quali risultanti dalle medesime, sicché nessun vizio logico può essere ravvisato nell’avere la Corte territoriale valorizzato le risultanze di tali documenti. Anche il terzo motivo non può pertanto essere accolto.
5. Il quarto motivo, svolto condizionatamente all’accoglimento dei precedenti, resta conseguentemente assorbito.
6. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 50,00, oltre ad euro 3 000,00 (tremila) per onorari, spese generali. Iva e Cpa come per legge