Svolgimento del processo
Radicatosi il contraddittorio e previa riunione dei procedimenti, il Giudice adito respinse le domande.
La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 12.11.2009 -23.1.2010, rigettò il gravame proposto dagli originari ricorrenti, osservando a sostegno del decisum, che;
– costituiva dato pacifico che i lavoratori, una volta entrati in quiescenza, avevano percepito tutto il trattamento di fine servizio loro dovuto;
– giusta la previsione dell’art. 1 della Convenzione ed avuto riguardo a quelle di cui all’art. 6 (relativo alle prestazioni garantite), all’art. 7 (relativo alle variazioni periodiche del trattamento), all’art. 9 (relativo alle condizioni di adeguamento in ragione dell’incremento del costo della vita) e all’art 12 (relativo alle modalità di erogazione di anticipazioni in accordo con il regime dettato dalla legge n. 297/82), doveva ritenersi che l’Ente intendeva costituirsi attraverso la suddetta polizza le disponibilità economiche occorrenti al pagamento del trattamento di fine rapporto ai sensi della suddetta legge n. 297/82;
– la veste di beneficiari assunta dai dipendenti (come risultante dall’art. 3 della polizza) non configgeva con gli altri suddetti dati negoziali, come confermava anche la previsione dell’art. 10, contemplante un caso di risoluzione solo in ipotesi di cessazione concordata o per dimissioni dal rapporto di lavoro, onde i singoli dipendenti erano assicurati e beneficiari in quanto avessero avuto diritto al trattamento di fine rapporto “e solo per tale motivo” e rilevava “il limite costituito dal fine, unico, di polizza e cioè quello di pagare il t.f.r. dovuto ex I 297/1982”:
– il fine di costituirsi le disponibilità economiche per potere poi corrispondere il trattamento terminativo ai dipendenti era lo stesso, così per la successiva polizza stipulata nel 1996, come per quella precedente del 1960;
– il dettato degli artt. 6, 9 e 11 della polizza andava rapportato allo scopo già indicato “di corrispondere il trattamento di fine rapporto come dovuto per legge” cosicché, in sostanza, l’Ente si era adeguato “nel tempo al mutevole andamento della disciplina sul trattamento terminativo” di cui al rdl n. 5/42 alla legge n. 70/75 e alla legge n. 297/82, dovendo anche considerarsi che il CCNL aveva garantito ai dipendenti il trattamento di fine rapporto dovuto loro “ex lege e niente di più o di altro”:
– doveva esser altresì considerato che, giusta la previsione dell’art 14 della polizza, ogni liquidazione delle prestazioni passava per l’Ente e che non si sarebbe potuta ravvisare la ragione di un tale intervento dell’E. se i beneficiari fossero stati gli addetti: l’Ente aveva quindi assicurato il proprio rischio, relativo al pagamento del trattamento di fine rapporto e l’art. 3 della Polizza aveva individuato 7 dipendenti come beneficiari non del contratto ma delle sole prestazioni garantite”;
– l’art. 14 della polizza si riferiva soltanto, anch’esso alle prestazioni garantite ai dipendenti e nulla diceva “su eventuali rendimenti o superi rispetto al t.f.r.”, occupandosi poi del regime fiscale del trattamento terminativo, ma non anche di altri aspetti più attinenti ad una natura della polizza diversa da quella delineata e confacente alle tesi dei ricorrenti;
– quanto al motivo di gravame relativo al mancato ricorso al potere istruttorio di cui all’art. 421 epe da parte del primo Giudice, doveva considerarsi che si trattava di un potere discrezionale e quindi insindacabile; che in ogni caso i documenti allegati e le prove orali assunte avevano consentito di chiarire la gestione amministrativa e contabile della polizza; che le posizioni individuali degli aventi diritto avrebbero assunto rilievo solo in esito all’interpretazione delle clausole negoziali, che però era sfavorevole agli attori; che non risultava quindi utile l’acquisizione di altri documenti.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale R. R. e P. D. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su quatto motivi.
L’intimato E. – Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo economico sostenibile ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 4 rdl n. 5/42 in relazione agli arti 1325 e 1411 c.c., assumendo che, poiché la struttura della convenzione n. 52900 era perfettamente conforme a quanto previsto dal suddetto art. 4 rdl n. 5/42, che imponeva la stipula di contratti di capitalizzazione che garantissero un trattamento non inferiore – e quindi anche superiore – all’indennità di fine rapporto dovuta e di cui fossero beneficiari i soli dipendenti, non poteva ritenersi consentita la ricerca di ulteriori e distinte (da quella tipica) cause giustificatrici dell’attribuzione ai dipendenti anche delle ulteriori somme derivanti dalla capitalizzazione né di porre in dubbio il collegamento di tale attribuzione al rapporto di lavoro. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cpc, la violazione degli artt. 1362 e ss c.c., dolendosi che la Corte territoriale abbia interpretato la convenzione in parola in violazione dei prescritti criteri ermeneutici e non svolgendo una propria “compiuta analisi dell’intero contenuto contrattuale”. Con il terzo motivo ì ricorrenti denunciano violazione degli artt. 421, comma 2, e 437, comma 2, c.p.c, dolendosi del mancato accoglimento della richiesta di acquisizione dei rispettivo certificato assicurativo e della copia integrale del modulo predisposto dall’I. per la richiesta di liquidazione della polizza individuale, documenti dai quali avrebbe potuto risultare ancor più chiaramente la previsione contrattuale di somme ulteriori da versare ai dipendenti in aggiunta al trattamento di fine rapporto.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione, assumendo che la Corte territoriale aveva omesso la considerazione di fatti e documenti decisivi e aveva affidato la formazione del proprio convincimento ad elementi parziali, da cui aveva tratto argomentazioni illogiche, che non sostenevano con chiarezza la decisone emanata, e riproponendo quindi una propria complessiva interpretazione del contenuto della convenzione.
2. I suddetti motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo tutti finalizzati a censurare l’interpretazione del contratto assicurativo resa dalla Corte territoriale.
2.1 Quanto in particolare al primo, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare, con espresso riferimento a un contratto di assicurazione stipulato ai sensi dell’art. 4 rdl n. 5/42, convertito in legge n 1251/42, che nelle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro possono distinguersi una posta (cosiddetta capitale), rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità via via maturata dal dipendente, ed un ammontare ulteriore (cosiddetto rendimento di polizza), costituente il risultato dell’operazione assicurativa propriamente detta, implicante un’eccedenza rispetto ai premi medesimi, ed, in effetti, rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge; che la funzione della stipulazione di una speciale polizza assicurativa era quella di assicurare agli impiegati la corresponsione dell’indennità di anzianità nella misura di legge; che, pertanto, l’opzione datoriale per la suddetta forma di provvidenza sostitutiva non comportava l’automatica attribuzione in favore dei dipendenti della parte del rendimento di polizza, consistente negli interessi sui versamenti o sui premi corrisposti, eccedente rispetto all’ammontare di legge dell’indennità di anzianità; che tale supplementare erogazione poteva trovare titolo soltanto in una eventuale pattuizione aggiuntiva o in specifiche clausole della polizza assicurativa, intese ad assicurare ai dipendenti stessi condizioni di miglior favore rispetto a quelle previste dalla legge (cfr, Cass., nn. 11718/1991; 3088/2002).
Le argomentazioni svolte dai ricorrenti a sostegno del motivo sono dunque inficiate in radice dall’errore prospettico di ritenere che i contratti assicurativi conclusi ai sensi del ridetto art 4 rdl n. 5/42 (nell’ambito dei quali, secondo il loro assunto, dovrebbe rientrare anche quello della cui interpretazione qui si controverte) fossero contraddistinti da una causa tipica implicante l’attribuzione ai dipendenti anche delle somme derivanti dalla capitalizzazione ulteriori rispetto all’indennità di fine rapporto spettante.
Con il che deve convenirsi che il riconoscimento della fondatezza delle pretese azionate non può prescindere dall’individuazione della reale portata del documento contrattuale su cui tali pretese si fondano.
2.2 AI riguardo deve considerarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per il principio di autosufficienza dei ricorso per cassazione, la parte che denuncia l’erronea interpretazione di un atto di autonomia privata deve riportarlo integralmente, non essendo consentito alla Corte di legittimità, per i limiti propri della funzione ad essa attribuita, procedere alla ricerca e all’esame del contenuto dei fascicoli di parte, al di fuori dell’ipotesi di denuncia di error in procedendo (cfr, ex plunmis, Cass., n. 4948/2003). Sotto questo aspetto il ricorso, con particolare riferimento alle doglianze inerenti ai pretesi vizi motivazionali e di inosservanza delle regole ermeneutiche, presenta dei profili di inammissibilità, posto che non tutte le clausole della polizza di cui si lamenta l’erronea interpretazione e anche, in parte, quelle che si invocano a pretesa dimostrazione degli errori in cui il Giudice a quo sarebbe incorso, sono state trascritte integralmente in ricorso (così, fra queste ultime, gli artt. 6, punto 2, e l’art 12).
2.3 Deve inoltre considerarsi che, sempre in base al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito; incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione; pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asserita mente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (efr, ex pturimis, Cass., nn. 8994/2001; 4948/2003; 14850/2004; 18375/2006; 7500/2007; 22536/2007: 23569/2007). 2.4Le censure svolte non corrispondono a tali principi. Quanto al preteso vizio di motivazione, poiché le argomentazioni poste dalla Corte territoriale a sostegno della decisone assunta e diffusamente ricordate nello storico di lite sono obiettivamente perfettamente comprensibili ed idonee a dimostrare l’iter logico seguito nella ricostruzione della portata del documento contrattuale esaminato.
Quanto alla pretesa violazione dei canoni ermeneutici, perché i ricorrenti, al di là di apodittiche affermazioni in tal senso, non dimostrano l’effettiva assenta devianza dai canoni suddetti, indicando a tal fine talune pretesamente erronee o parziali o semplicemente non condivise letture, da parte della Corte territoriale, di talune clausole contrattuali ed asserendo, contrariamente al vero, che il Giudice del merito abbia ritenuto la sufficienza del dato testuale di cui all’art. 1, 1° capoverso, della polizza al fine di interpretare e qualificare l’intero contratto.
Viceversa, come palesemente emerge dall’esame del percorso motivazionale quale già ampiamente ricordato, la Corte territoriale ha proceduto alla disamina contrattuale facendo corretta applicazione dei fondamentali canoni ermeneutici, partendo dalla disamina degli elementi testuali delle singole clausole, collegandoli fra loro al fine di ricostruirne l’effettiva portata e non trascurando di considerare il comportamento delle parti contraenti sia precedente che successivo alla stipulazione della polizza all’esame.
Per contro del tutto inidonee allo scopo, alla luce dei surricordati principi, si rilevano le argomentazioni attraverso le quali i ricorrenti si diffondono ad illustrare una diversa interpretazione, confacente alle loro tesi, delle varie clausole contrattuali e della polizza nel suo complesso.
2.5 Il risultato a cui la Corte territoriale è pervenuta si presenta altresì aderente ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in un’analoga controversia, secondo i quali, in materia di indennità di fine rapporto, la normativa di cui alla legge n. 297/82 non preclude che, in generale, possano essere corrisposte, alla cessazione del rapporto, erogazioni integrative aventi natura e funzioni diverse dal trattamento di fine rapporto, purché esse siano ricollegate al contratto di lavoro, nel quale devono trovare una giustificazione causale idonea ad escludere una disposizione derogatoria alla disciplina legale; cosicché deve escludersi che siano da corrispondere ai lavoratori le maggiori somme maturate per l’effetto di una polizza assicurativa stipulata dal datore di lavoro, allorché, in ragione della struttura della provvista e dalla modalità di erogazione degli importi, risulti che essa sia stata costituita a beneficio della gestione e delle finalità proprie del datore di lavoro, al fine di assicurare la corresponsione dell’indennità di fine rapporto ai dipendenti, e non preveda in favore di questi ultimi utilità economiche ulteriori rispetto alle somme a garanzia del trattamento di fine rapporto (cfr, Cass , SU, n. 21553/2009: conf., Cass , 6599/2011).
2.6 Né potrebbe configurarsi, nella conclusione ermeneutica del Giudice di merito, la violazione dell’art. 1411 c.c., posto che, una volta escluso che i benefici ulteriori siano effettivamente previsti nella convenzione assicurativa, non si verifica alcuna alterazione causate del contratto a favore dì terzi, che mantiene la sua funzione di arrecare a questi ultimi tutti i vantaggi previsti dalle parti, consistenti nella specie, in via esclusiva, nella garanzia del trattamento di fine rapporto.
2.7 Quanto alla doglianza relativa alla mancata acquisizione di taluni documenti (certificati individuali, modello I, di liquidazione), anche a prescindere dal fatto che si riferisce a documenti che le parti avrebbero potuto acquisire e produrre in giudizio, se ne deve rilevare il difetto di decisività, tenuto conto del rilievo attribuito dalla Corte territoriale alla portata dell’art. 14 della polizza, siccome riferentesisoltanto alle prestazioni garantite ai dipendenti; onde, al riguardo, risulta altresì coerente l’argomento addotto a negazione della richiesta, secondo cui tali documenti avrebbero potuto assumere rilievo solo ove l’interpretazione delle clausole negoziali fosse risultata favorevole alla tesi dei ricorrenti.
3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida in euro 50,00 oltre ad euro 3.000,00 (tremila) per onorari ed accessori come per legge.